lunedì 11 marzo 2019

2 Anni

B ha 2 anni e mezzo. C'è stata una fase in cui quel bambolotto sempre bisognoso di cure ed attenzioni ,ha iniziato ad acquistare indipendenza. A Giugno (2017) ha tolto il pannolino. E quando di notte mi ha svegliato per andare a fare la pipì mi sono sentito un papà anziano in contrasto con la figura del giovane genitore che gira con il suo fagottino in braccio dispensando sorrisi e accaparrandosi simpatie. B oggi pensa, riflette elabora pensieri, mi chiede il perché delle cose, immagina il mondo come una grande favola tormentata qualche volta solo dalla presenza di mostri. Il contesto in cui sta crescendo è il meglio che potessi chiedere. Due coppie di nonni che hanno lui come primo nipote e lo assecondano in tutto, lo stimolano non lo annoiano, hanno ancora la forza di scoprire le cose insieme a lui. Nessuna situazione negativa lo ha mai turbato, quando accade di trovarsi ad un normale litigio di mamma e papà diventa silenzioso, gioca per i fatti suoi si fa da parte. Percepisce lo stato di tensione per alcuni minuti diventa solitario. Lui che è abituato ad avere il palcoscenico a disposizione con sempre qualcuno pronto ad applaudirlo ed incoraggiarlo, si sente messo da parte e si autorelega in una posizione secondaria. Quando ce ne accorgiamo sbolliamo la rabbia del momento abbracciandolo e coccolandolo. Non per tutti è così e lui è molto fortunato in questo. Ha tutto l'amore che vuole da chiunque, è affabile, prezioso quando serve, molto comunicativo. Parla molto bene, riesce a dire qualsiasi cosa a parte le "s" ma la differenza con gli altri bambini della sua età, soprattutto in termini di discorsività è incredibile. Non per il vocabolario che dispone, che comunque è per me molto vasto considerando la sua tenera età. Usare il termine "catastrofico" a due anni e mezzo la voglio considerare una casualità. Il tema fondamentale è l'articolazione dei pensieri, delle frasi. Quelle volte che lo vedo con lo sguardo assorto nel vuoto e la bocca chiusa in un cerchio concentrico perfetto muoio dalla voglia di sapere a cosa pensa. Ogni tanto racconta delle storie, mi canta qualche canzoncina. Il tema dominante è sempre la ricerca di un luogo protetto, la casa, la sua stanza dei giochi la casa dei nonni. Qualche volta inserisce un elemento di turbativa, un mostro, un bosco nero, la volpe Flinn di Puffin Rock. Come tutti i bambini ha le sue paure. In Florida, in un negozio dove c'erano personaggi animati della jungla, un mega store di pupazzi e pupazzetti, aveva paura di un albero parlante. Veramente inquietante al dir la verità. La sequenza era che nel negozio, che sembrava una grande foresta tropicale con tanto di tigre arrampicata sull'albero, si scatenava un violento temporale con tanto di tuoni e scrosci d'acqua simulati dall'impianto stereo. Le luci si abbassavano e questo albero iniziava a parlare. La paura dei bambini davanti a queste cose ci ricorda chi siamo. Tutti abbiamo paura di qualcosa e quando abbiamo paura cerchiamo lo sguardo il volto di chi in quel momento possiamo abbracciare per farci confortare. Quando si cresce vorremmo essere confortati e confortatori ma le dinamiche della vita cambiano, si crede di non avere più bisogno di mostrare la paura. B mi ha insegnato anche questo tra le tante lezioni che ogni giorno mi impartisce. La legge naturale che salverebbe il declino dell'umanità dovrebbe essere quella di far coesistere un bambino fino ai 5 anni in una coppia di adulti sopra i 25. In maniera forzosa, coatta, un obbligo da rispettare per continuare a ricordarci chi siamo e cosa stiamo facendo. La distanza tra chi non vive certe situazioni e chi invece è sommerso dal bisogno di amore di un bambino è immensa. Potrebbe esserci anche il caso di chi non è capace di assorbire amore e tanto meno riceverlo. Ma un bambino può penetrare qualsiasi montagna.

giovedì 31 dicembre 2015

La luce

Sei innamorato di questo nuovo ruolo. La fatica si fa sentire con il passare del tempo e non avresti mai detto che i primi mesi con tuo figlio potessero stravolgere una routine costruita con minuziosità nei 20/30 anni precedenti. Uscite con gli amici, appuntamenti serali con tutti gli sport, seratacce, weekend all'estero, viaggi intercontinentali, tutto congelato per un lungo periodo di tempo che varia a seconda dell'organizzazione della coppia, dell'approccio che si ha verso un evento così bello quanto stravolgente. Sono padre da quasi un anno e scrivo qui le mie testimonianze, sia per ricordare questo nuovo e bellissimo periodo lasciando una traccia per me e soprattutto per mio figlio, sia per cercare di capire insieme qual'è la strada migliore da percorrere per la nostra generazione impegnata in questo compito, oggi più che mai, determinante per migliorare una società che probabilmente non vorremmo per i nostri figli. E' uno scopo ambizioso che di certo non può essere esaurito in un blog, che non è assolutamente una linea guida perché scritta da un completo principiante. E' solo che penso spesso a quanto sia importante questo ruolo ma un dibattito vero ed onesto tra padri non esisterà mai. Forse la timidezza, l'insicurezza. La rete in questo potrà darmi una mano. Scrivendo questi pensieri potrò articolarli e confrontarli nel tempo, magari anche con qualcun altro.

B ha undici mesi. Da quando è nato non ho fatto altro che guardarlo continuamente con gli occhi di chi non si rende conto che quello è il  miracolo della vita di cui tutti parlavano. Lo guardo mentre gioca, mentre dorme, mentre mi guarda prima di addormentarsi con quell'aria beata di chi non conosce alcun tipo di problema. Ogni volta che lo guardo, mi ripeto "io ho un figlio". Come se non riuscissi a crederci a distanza di un anno quasi dalla sua nascita. Riesco a ricordare vagamente i pensieri da adolescenti quando mi proiettavo in un futuro che poteva essere questo. Un lavoro, una moglie e dei figli. Io sono cresciuto con l'idea che dei figli li avrei avuti prima o poi, senza sapere minimamente cosa sarebbe potuto significare sotto tutti i punti di vista. Per il lavoro o la moglie probabilmente non sono andato tanto lontano dalla realtà, guardavo i miei genitori, altre persone e capivo quale potessero essere le prospettive. Da figlio non avrei mai capito, se non quando sarei diventato genitore, cosa sarebbe potuto significare essere padre. Ma potrei scriverlo per anni senza giungere a nessun risultato. B è bellissimo, penso al suo futuro, al mio percorso e se il caso che lui ripercorra il mio. Non mi è mai mancato nulla, ho avuto dei genitori dal quale posso solo imparare che hanno fatto dell'abnegazione il loro motto. Abnegazione. Tutto fatto per i figli. Un quasi annullamento delle proprie vite in funzione di quelle dei figli. 

Questo oggi il mio più grande dilemma, il primo tema di questo blog, che ripeto nasce per dare spunto a discussioni a confronti (che forse nemmeno ci saranno) ma soprattutto come diario di un'impresa ed un cammino che mai finirà. E' giusto ridimensionare il proprio ego, la propria personalità in favore dei figli a cui concediamo tutto lo spazio necessario delle nostre giornate. Può questo dare un riflesso negativo sulla crescita dei nostri figli?

Oggi credo, con un bambino di undici mesi, un lavoro full time e normali impegni domestici, che questo sia il punto di partenza, essere presenti il più possibile, essere il punto di riferimento per il proprio figlio, dargli più tempo possibile, farlo sentire sicuro, amato. Nostro figlio ama vederci felice, noi siamo felici se magari ci concediamo un calcetto o un'uscita con gli amici, ma al tempo stesso gode della nostra presenza e della nostra complicità.

Quando sei nato


"Lillo ho rotto le acque". Ti sei messo a letto alle 2  di quel sabato sera, dopo esserti passato in rassegna tutti i gol della B, il Pescara sconfitto in casa dalla Ternana e l'attesa della fine del servizio per vedere la tua squadra del cuore capitolare nello stadio in cui quel pomeriggio non sei potuto andare per via del primo monitoraggio (e fortunatamente l'ultimo). Una notte come tante altre, lei che dorme affianco a te con quella montagna sulla pancia, tu che la guardi come ogni notte, la senti respirare sapendo che lì dentro c'è qualcuno che un giorno ti parlerà di qualcosa e di qualcuno come se niente fosse. Ripensi a quella notte, (quale ancora non si capisce bene) se in America o in Italia, e alla gioia e l'amore, che con quella creatura affianco a te dovrai ancora finire di vivere.. Alle 2 quella frase mi butta giù dal letto. E come nel film dove Gerry Calà si ritrova nudo in un millisecondo alla proposta di fare all'amore con Sabrina Salerno, mi ritrovo vestito davanti a quel letto, spaventato ed emozionato di quella avventura che durerà più di 24 ore. E' notte ed è sabato. La strada fino all'ospedale è l'ambientazione di un fumetto, tombini che fumano, un imponente cielo pieno di nuvoloni carichi di pioggia, un buio romantico, illuminato dai nostri sguardi con gli occhi allampanati che si incrociano come a volersi chiedere e rispondere "sta succedendo proprio ora?". Sì perché ne avevamo parlato mille volte di questa notte dell'emozione e del suo impatto, perché sapevamo che sarebbe avvenuto di notte. L'idea che ci eravamo fatta era vicina ma anche lontana. Vicina l'idea dell'emozione/paura per quello che sapevi o non sapevi che l'immediato ti regalasse, tutte quelle nozioni del corso preparto, le accortezze, i minuti, le contrazioni, i dolori le spinte la respirazione. Lontana l'emozione che ti avrebbe riportato in quella casa a pochi giorni di distanza con un terzo incomodo che fino a prima non avevi considerato fino in fondo. L'arrivo in ospedale degno di un marines che serve passo dopo passo quanto insegnatogli in accademia. Parcheggio all'interno del pronto soccorso, valigia nella mano, aria tranquilla nei confronti della futura madre, paure ed emozioni nascoste a lei dentro di te, come quando riordini la camera buttando tutti i vestiti sotto il letto. Il Pronto Soccorso è quello del sabato sera, ragazzi abbandonati su delle panchine,chi è sdraiato a terra, chi non si riesce a riprendersi nonostante sonori sganassoni. Si sono presi di tutto e, fino a qualche giorno prima li avresti osservati passando col sorriso di chi vuole fargli una carezza e dirgli "succede a tutti", ora invece li guardi con il terrore, con gli occhi del padre, di quel padre svegliato nel cuore della notte (sono le tre nel frattempo) per essere avvisato che suo figlio, quello per cui io proverò un'emozione interminabile è al pronto soccorso. Quella notte molti padri a Pescara si emozioneranno per la nascita di un figlio, altri saranno trafitti dal dolore, svegliati dalla notizia che il loro è al Pronto Soccorso. Non pensiamoci oggi, faremo in modo di non farlo succedere un domani. Facciamo un passo alla volta, siamo ancora al punto di partenza. Entro in reparto, dove per il personale è tutto normale, come una gita in barca. Infermiere che sorseggiano thè mentre le gestanti emettono urla disumane, la mamma per il momento se la ride pensando che fra qualche ora lei sarà al posto di quelle donne, e quelle donne al posto di chi ha già partorito da giorni, insomma la catena ospedaliera. "Gentile papà può tornare a casa a dormire se vuole, dalla rottura delle acque possono passare diverse ora prima del travaglio." "Guardi aspetto fuori, preferisco sono più tranquillo." Non so se col senno di poi rifiuterei di nuovo il consiglio. Fatto sta che passare tre ore a camminare su e giù per un corridoio ti tempra come un soldato in addestramento. Ore 8 mi fanno entrare. L'hanno fatta mettere a letto a riposare. Le contrazioni sono regolari ma manca ancora per la dilatazione. Una PROM ordinaria, in quelle situazioni pensi di poter conseguire una laurea in medicina in pochi giorni. Cerco di schiacciare un pisolino, ma devo prendere le analisi dalla ginecologa che ovviamente di domenica mattina alle 8 è a casa a farsi i fatti suoi. I primi scompensi li avverto in quella guida verso la sua casa fortunatamente a pochi chilometri dall'ospedale. Non dimenticherò mai la Dottoressa nel cortile del suo palazzo, sotto una pioggia incessante, vestita e truccata come se dovesse partecipare alla notte degli Oscar con le analisi della mamma in mano. Torno in ospedale. E' ancora presto, manca molto. Mi mandano a comprare gli assorbenti. "Compra gli assorbenti per una donna che sta per partorire!!". Lo segno su un biglietto. Quando arrivo alla Coop con la testa distrutta, ricorderò sempre la faccia di quella signora che magari stava scegliendo qualcosa per la sua menopausa, a cui ho chiesto aiuto, che mi ha consigliato percependo il mio precario stato mentale. Era l'inizio del delirio. Torno e nel frattempo la trovo in un altro reparto, in attesa delle contrazioni ma soprattutto di questa benedetta dilatazione che tardava ad arrivare. Nel letto affianco la stanza della mamma, un caso umano che non riporterò per la tristezza che comporterebbe. Iniziano le vere contrazioni ed il suo vero lamento. Da quando inizia a dire ad alta voce "Datemi l'eroina" accompagnandosi spesso con peti fragorosissimi, inizio a pensare che siamo entrati nello stadio in cui la donna perde ogni sorta di freno inibitorio. Conoscendo il soggetto, una che se si scioglie difficilmente si raccapezza all'albero, mi aspetto di tutto. E' un tipo tosto ed alle 17, a dilatazione iniziata ci dicono che possiamo trasferirci in sala travaglio. Sono già 14 ore di ospedale, quasi tutte senza sonno, senza riposo, con molta ansia addosso, i primi segni di cedimento iniziano ad arrivare nei primi insulti che nella fase Goblin investe la futura madre. Sì perché quando le contrazioni non ci sono parlo con la donna della mia vita, emozionata dall'evento più bello, sapendo che nulla potrà essere equiparabile a quanto sta provando. Durante le contrazioni parlo con un mostro che al minimo segno di debolezza vuole mangiarti e sputarti per terra con un lupino. Ricordo ancora quel "lasciami stare" urlato con la voce di Ozzy Osbourne seguito da quello "scusami" tenerissimo e dolcissimo, "scusami" una parola che ha usato con me sempre con molta ponderazione. Non voglio fare uno sketch comico, ci sarebbe da scrivere per anni . Voglio solo scrivere per far rimanere impressa nella memoria il "Metti tutto a posto" riferito all'ostetrica che veniva incitata a far smettere il travaglio, la gravidanza tutto. Il desiderio di far tornare tutto allo stadio zero. Altra perla "dottoressa io ho il soffio al cuore e sono a rischio infarto" detto con una lucidità da primario del Policlinico Gemelli che in quel momento stupisce l'ostetrica che quasi ci crede. Ineguagliabile la risposta all'incitamento della pazientissima ostetrica Manuela "Forza Benedetta sei bravissima" "io non voglio essere bravissima, non me ne frega!". Manca poco, ci consigliano di passeggiare, farle fare una doccia per riscaldare la zona lombare (esperienza mistica in cui io, trovato il punto esatto d'innaffio, mi inzuppo i pantaloni come un pescatore di trote). Non ce la facciamo più, il sonno la rende sempre più debole, io se chiudo gli occhi riesco a sognare anche in tempi molto brevi tipo un secondo. Ultimo controllo, ci siamo quasi: comincia a tornarti la forza, ti danno il camice verde, e stai per entrare, stai per vedere per la prima volta tuo figlio. Tuo figlio. Se provi a far risuonare insieme queste due parole nella tua testa la prima volta ha lo stesso effetto della prima sbronza. Emozione, stordimento, paura consapevole. Prima lo dicevi, ma vedevi tutto come una cosa lontana, inarrivabile, pensavi che i figli fossero degli altri e basta, i bambini belli e divertenti ma poi quando ti stanchi te ne vai a casa. Camice verde indossato, cappelletto verde da pirla, copri scarpe sistemate con cura, vuoi che tuo figlio sia contaminato da qualche maledetto germe che porti sotto quelle scarpe. "tuo figlio" lo dici ancora, quante altre volte lo dirò? Mi chiamano, posso entrare. Lei in piena sofferenza, mi vede arrivare, le do la mano ed un bacio, è stato un momento bellissimo. Non sono momenti che servono alla coppia, sono momenti che costruiscono la coppia, necessari, indispensabili alla natura mammifera dell'uomo. Si vede la testa, mi scende una lacrima. Non ho pianto, io di solito mi commuovo anche con i cartoni animati, nemmeno la mamma che non è proprio un vero leone in tema di sensibilità verserà alcuna lacrima. Gli ultimi sforzi, lei finalmente libera, esce un esserone nero, capelluto, con un'espressione di sofferenza che mi rimarrà impressa per tutta la vita. Ora quando lo vedo piangere penso a quel momento e mi commuovo come una signorina. Lei continua a ripetere come una donna che fa un incidente in macchina e rimane in stato di shock per qualche minuto" hai visto che abbiamo fatto???quello è nostro, lo abbiamo fatto noi!" uno scultore su una roccia quella notte non sarebbe riuscito ad imprimere così tante immagini, così come ha fatto per me la nascita di Brando. Lui in quella copertina verde, che mi guardava, mi fissava la barba, rimaneva in silenzio ancora nella posizione fetale, palesemente spaventato dall'ambiente circostante diverso rispetto a qualche minuto prima. Esco da quella stanza come se avessi passato l'esame più importante della mia vita col massimo dei voti. Petto gonfio come un gallo da combattimento, sguardo fiero, andatura sicura. Da quel momento il padre, un padre, forse qualsiasi o forse no, si sente meno solo e diverso. Sa che dentro la sua testa, in un angolo dei suo pensieri c'è sempre un figlio. In background, in sovra impressione, al centro, in cima, in stand by, ma c'è sempre. E' quel legame che rende continua la linea della vita, che non la fa interrompere mai, è quello che l'amore continua, nonostante tutto, ancora a fare bene.